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Si chiude con grande entusiasmo la campagna di raccolta fondi su EPPELA: oltre 60 donatori e il traguardo raggiunto.

MSD Crowdcaring ha raddoppiato l'importo

GRAZIE!!!

Ospiti

Fuori dal grembo per essere uomo!

Il cucciolo d’uomo è un uomo per quanto grave sia la sua malattia: un cucciolo d’uomo non muta specie. Dunque non diventa un micetto, né per essere messo nella cuccetta dove stanno i micetti, perché tanto di altro non ha bisogno, né per essere coccolato e maneggiato a proprio piacimento come, appunto, si fa con i micetti (i quali per altro, rispetto al cucciolo d’uomo, hanno il vantaggio dell’istinto e, se esageri, tirano fuori le unghie e ti avvertono che ti stai prendendo troppa confidenza)… E lì si decide! Se non è un micio, tu puoi scommettere sul fatto che a te è possibile apprendere la sua lingua e che a lui è possibile apprendere la tua… 
Ci sono persone che, al di sotto di una certa soglia di incompatibilità linguistica, diventano a loro volta autistiche. Credo che sia un errore; come l’eccesso del “miao” delle mamme che ancora dopo anni parlano con i loro bambini con “cicci cocco”. Non di scelte soltanto quantitative, non di scelte sempre ultimamente riducibili alla “poppata”, ma scelte che hanno a che fare con la qualità delle relazioni. Dunque è necessario elaborare una lingua interprete…
Il primo simbolo capace di generare questa lingua mi sembra esser quello della sussidiarietà maternale nei confronti della debolezza, del disagio, della piccolezza che ci fan giudicare l’immaturità dell’altro. La funzione materna è in grado di supplire a un largo margine di variazione di deficit, di mancanza della maturità, di fatica del figlio… Quale sia la misura di questo prolungamento che attutisce le fatiche della crescita e compensa l’insufficienza degli alimenti, la difficoltà a “masticare” è da misurare… 
Questo prolungamento maternale realizzato dalla fraternità della Chiesa, dalla solidarietà sociale, dunque da una comunità “di pari” in linea di principio, ha il compito anche di consentire il fisiologico distacco dal grembo della madre senza il quale nessuno diventa
uomo, in modo da renderlo possibile anche per chi non ha la forza, la prontezza, le risorse necessarie per farlo da solo, madre o figlio che sia. È un diritto dell’essere umano essere contenuto maternalmente e avere la possibilità di separarsi dalla madre per vivere la propria vita con i rischi che ciò comporta…
La seconda sorgente di simboli e di operazioni che ci può istruire nella ricerca di questa lingua interpretante è il principio della sussidiarietà paternale. Il padre è la sicurezza del rapporto sociale. Il simbolo del padre è il simbolo della legge, della norma che ci introduce nella società, che ci garantisce e rassicura della possibilità di fare questo ingresso, della possibilità di accogliere le norme, della possibilità di essere normale…
Dunque chi parla ingenuamente, dicendo che la società dovrebbe tutta strutturarsi intorno al bisogno di alcuni, non ha capito cos’è la società, non ha capito qual è il suo compito, e non ha capito l’importanza di una misura media della norma che assicura il riconoscimento della normalità, del proprio appartenere alla società, non del proprio appartenervi in modo speciale, dunque artificiale. 
Il processo è quello contrario. Creare collegamenti, opportunità di recezione della norma adatte alla propria dimensione, quando questa dimensione è un po’ speciale, un po’ differenziale… 
E terza figura è quella della sussidiarietà fraternale, che si deve esprimere nella Chiesa, in quanto l’integrazione compiuta deve dare la netta percezione della fine della stagione delle mamme e dei padri, perché il simbolo della fraternità è il simbolo della parità. 
Ma il simbolo della fraternità è il simbolo di una parità non solo capace di sopportare la diversità, ma capace di integrarla nella relazione paritetica affinché l’altro non sia necessariamente la copia di nessuno, la controfigura di nessuno, ma il mio fratello più piccolo, più grande, più tondo, più basso.

Pierangelo Sequeri - Teologo

Esplode la vita

Philoi Paisiello 7 Luglio 2012 86 pub

Ammiro le persone che si prendono cura degli altri. Soprattutto coloro che lo fanno con gratuità. Ho sempre pensato che anch’io dovrei fare qualcosa. Il punto è che lo penso e non riesco a farlo. Una cosa sono i pensieri, che magari si presentano belli, ben altro impegno richiede l’azione.
Ma anche l’ammirazione per chi si preoccupa della salute degli altri scompare quando la scena è occupata in modo totale dalle persone che di un proprio limite o di una propria sofferenza fanno una leva per esaltare la vita. Per me resta un mistero questo passaggio: dal dolore e dalla fragilità alla vita che esplode in tante piccole azioni e comportamenti. Questo pensiero ha occupato la mia mente il 7 luglio del 2012 quando ho assistito al teatro Paisiello alla rappresentazione in scena di una fiaba di Sepulveda, La gabbianella e il gatto. Quella sera faceva un caldo limaccioso, ma la ricorderò come una grande lezione. Tutti gli attori costituivano un’unica realtà, un racconto corale di sentimenti e di intelligenza. Non riuscivo a distinguere, malgrado i miei sforzi, chi era il “normale” e chi il “disabile” o “diversamente abile” come il politicamente corretto suggerisce. Quella sera ho capito che le classificazioni e le gerarchie sociali e culturali sono solo una nostra invenzione per fare ordine attorno a noi e difendere le nostre abitudini. È il nostro cinismo a creare le barriere. Normalità e disabilità sono convenzioni create dalla sociologia della produzione meccanicistica.
Sia benedetto chi afferma: ti riconosco, adesso ti do una mano. Quel “ti riconosco” è riferito a una persona vera e concreta, con un nome e cognome, con una storia individuale e con le sue difficoltà. Molti di noi parlano dell’umanità come di un sentimento diffuso su tutta la terra. Non costa nulla farlo. Se i bambini poveri muoiono in televisione, in un Paese lontano, reagire con un sentimento buono oppure con un confuso proposito di generosità ci fa stare meglio. Rifugiarsi nell’idea di una storia generale significa sottrarsi all’altro. Le parole o le buone intenzioni non richiedono uno sforzo particolare di altruismo. Anche io mi colgo in fallo quando uso le parole pensando di aver fatto qualcosa. Così alimento il cinismo. Invece, chi ascolta, riconosce ed entra nella storia concreta di ogni singolo individuo, in modo lieve e operativo, ne sa cogliere valori e bisogni, e agisce per favorire la sua esistenza, ecco chi riesce a fare questo senza sforzo, in modo spontaneo esprime il meglio dello spirito umano.
Le persone che donano il proprio tempo libero al Laboratorio Div.ergo sono speciali. Sono migliaia le associazioni di volontariato. Troppe per distinguerle nelle loro opere. Eppure, distinguere è necessario, perché dobbiamo sostenere coloro che realmente si prendono cura degli altri. A volte il volontariato rischia di essere un prolungamento dello stato burocratico. Non è il caso del Laboratorio Creativo Div.ergo di via Vittorio Emanuele. Ma specialissimi sono gli Artisti che lavorano la ceramica: nei loro pensieri e nelle loro mani esplode la creazione del barocco che dalle facciate di chiese e palazzi si trasferisce veloce nell’invenzione pittorica.

Antonio Tondo
giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, cultore dell'uomo, nostro amico

È dolce e bello incontrare fratelli che vivono insieme

Il mondo è considerato un “villaggio globale”. In realtà, è più grande di come lo si pensa, questo è ciò che vogliamo sostenere, come amici di Div.ergo.

Il mondo non può essere considerato soltanto come un piccolo villaggio, assolutamente no. E allora, come lo possiamo considerare? Il mondo è un mistero, e l‘uomo non può arrivare a comprenderlo fino in fondo. A livello visibile, possiamo dire che le distanze si siano accorciate, ci si può spostare da un luogo all’altro in poco tempo e si può comunicare in tempo reale con chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Ma questo solo a livello visibile.

In realta, il mondo reale è fatto di persone, e ogni persona si porta dentro il proprio mondo, a tutti i livelli – spirituale, sociale e culturale. Per questo pensiamo che il mondo sia un piccolo villaggio, ma allo stesso tempo è un grande mistero difficile da penetrare.

E la nostra esperienza personale, quella di seminaristi che vengono dall’amato Egitto per studiare teologia nella Città Eterna, lo dimostra.

Siamo nati e ci siamo formati in villaggi di famiglie cristiane cattoliche, convinte di essere dalla parte della verità. Piano piano ci siamo resi conti della nostra posizione: siamo la minoranza in mezzo ad una maggioranza che ha un’altra religione, una maggioranza che è anch’essa convinta di avere tutta la verità. E non solo: viviamo accanto a tante altre Chiese diverse: la Chiesa copta ortodossa, la Chiesa protestante, convinte tutte di avere tutta la verità. Eppure il Concilio Vaticano II ha espresso con grande chiarezza l’idea che le religioni e le varie altre Chiese posseggono una parte della verità. E tutto questo per dire che, giorno dopo giorno, noi scopriamo che il mondo è molto più grande di quanto pensiamo. 

Conclusa la fase della nostra vita nel seminario egiziano, siamo entrati nel seminario di Roma.

Passo dopo passo, abbiamo scoperto che lo studio e la cultura non sono solo quelli dei libri, ma anche quelli che ci vengono dalla vita pratica. Viviamo vicino a Piazza San Pietro, nel Collegio Urbano: siamo centocinquanta seminaristi provenienti da trentuno diversi Paesi del mondo, dell’Asia e dell’Africa, Paesi che hanno tradizioni e culture diverse; parliamo trentuno lingue diverse, proveniamo da Chiese e liturgie diverse. Studiamo in una Università che è frequentata da millecinquecento studenti di diverse nazionalità e di diverse comunità religiose. Come possiamo dire che il mondo è un piccolo villaggio? 

E ancora non basta: finito l’anno accademico, abbiamo accettato di fare un’esperienza pastorale in una comunità di laici che si ispirano a don Bosco e fanno attività di volontariato a Div.ergo. È stata una nuova esperienza per noi: abbiamo sperimentato un modo di vivere ed una fede speciali. Si vive con i giovani, si entra in modo meraviglioso nei cuori gli uni degli altri. Lì c’è l’espressione di una Chiesa giovane, fresca, viva, che ama di un amore incondizionato. 

E allora, come possiamo dire che il mondo è diventato un luogo in cui tutto è uguale, in cui tutto è noto? Difficile, anzi impossibile, accettare questa affermazione. 

Venite a vedere la grandezza del Creatore in questo mondo!

di Josef Rauf Hanna - Seminarista Copto

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