Fuori dal grembo per essere uomo!
Il cucciolo d’uomo è un uomo per quanto grave sia la sua malattia: un cucciolo d’uomo non muta specie. Dunque non diventa un micetto, né per essere messo nella cuccetta dove stanno i micetti, perché tanto di altro non ha bisogno, né per essere coccolato e maneggiato a proprio piacimento come, appunto, si fa con i micetti (i quali per altro, rispetto al cucciolo d’uomo, hanno il vantaggio dell’istinto e, se esageri, tirano fuori le unghie e ti avvertono che ti stai prendendo troppa confidenza)… E lì si decide! Se non è un micio, tu puoi scommettere sul fatto che a te è possibile apprendere la sua lingua e che a lui è possibile apprendere la tua…
Ci sono persone che, al di sotto di una certa soglia di incompatibilità linguistica, diventano a loro volta autistiche. Credo che sia un errore; come l’eccesso del “miao” delle mamme che ancora dopo anni parlano con i loro bambini con “cicci cocco”. Non di scelte soltanto quantitative, non di scelte sempre ultimamente riducibili alla “poppata”, ma scelte che hanno a che fare con la qualità delle relazioni. Dunque è necessario elaborare una lingua interprete…
Il primo simbolo capace di generare questa lingua mi sembra esser quello della sussidiarietà maternale nei confronti della debolezza, del disagio, della piccolezza che ci fan giudicare l’immaturità dell’altro. La funzione materna è in grado di supplire a un largo margine di variazione di deficit, di mancanza della maturità, di fatica del figlio… Quale sia la misura di questo prolungamento che attutisce le fatiche della crescita e compensa l’insufficienza degli alimenti, la difficoltà a “masticare” è da misurare…
Questo prolungamento maternale realizzato dalla fraternità della Chiesa, dalla solidarietà sociale, dunque da una comunità “di pari” in linea di principio, ha il compito anche di consentire il fisiologico distacco dal grembo della madre senza il quale nessuno diventa
uomo, in modo da renderlo possibile anche per chi non ha la forza, la prontezza, le risorse necessarie per farlo da solo, madre o figlio che sia. È un diritto dell’essere umano essere contenuto maternalmente e avere la possibilità di separarsi dalla madre per vivere la propria vita con i rischi che ciò comporta…
La seconda sorgente di simboli e di operazioni che ci può istruire nella ricerca di questa lingua interpretante è il principio della sussidiarietà paternale. Il padre è la sicurezza del rapporto sociale. Il simbolo del padre è il simbolo della legge, della norma che ci introduce nella società, che ci garantisce e rassicura della possibilità di fare questo ingresso, della possibilità di accogliere le norme, della possibilità di essere normale…
Dunque chi parla ingenuamente, dicendo che la società dovrebbe tutta strutturarsi intorno al bisogno di alcuni, non ha capito cos’è la società, non ha capito qual è il suo compito, e non ha capito l’importanza di una misura media della norma che assicura il riconoscimento della normalità, del proprio appartenere alla società, non del proprio appartenervi in modo speciale, dunque artificiale.
Il processo è quello contrario. Creare collegamenti, opportunità di recezione della norma adatte alla propria dimensione, quando questa dimensione è un po’ speciale, un po’ differenziale…
E terza figura è quella della sussidiarietà fraternale, che si deve esprimere nella Chiesa, in quanto l’integrazione compiuta deve dare la netta percezione della fine della stagione delle mamme e dei padri, perché il simbolo della fraternità è il simbolo della parità.
Ma il simbolo della fraternità è il simbolo di una parità non solo capace di sopportare la diversità, ma capace di integrarla nella relazione paritetica affinché l’altro non sia necessariamente la copia di nessuno, la controfigura di nessuno, ma il mio fratello più piccolo, più grande, più tondo, più basso.
Pierangelo Sequeri - Teologo