Interviste

Parigi, immersi nell'arte

parigi

Passano i mesi ma le sensazioni provate nel viaggio a Parigi restano vive: l’esperienza che può sintetizzarle al meglio è la visita alle Ninfee di Monet al Museo de l’Orangérie. Degli artisti che abbiamo intervistato, la metà di loro la colloca tra i ricordi più vividi. 

Giuliano la descrive alla perfezione: “Mi sono sentito immerso nei colori”. E cosa vuol dire per te? “Ci si ritrova in un mondo fantastico, a proprio agio!”. Mattia: “Mi ha davvero affascinato tanto perché, se entri stai proprio bene, ti dava una sensazione particolare come quando stai nell’erba e c’è il laghetto e ti rilassi.” 

Federica spiega: “Siamo andati alle Ninfee, sono rimasta a bocca aperta…grandissimo, però Vito ha chiesto dove stanno le ninfee e io gli ho detto: “Ci stai dentro, ciuccio!” (ride). Pierluigi è meno dettagliato ma ugualmente convinto: “Quel quadro che c’era tutto verde, quei fiori”, poi gli sovviene un altro flash: “Quei due che sono al tavolo e giocano a carte”, ovvero I giocatori di carte di Cézanne. Sono rappresentazioni familiari, ormai parte del loro immaginario. Un’altra esperienza di immersione è quella della visita a Montmartre: “Mi è piaciuto – dice Giulio – perché quando siamo passati immaginavo che lì c’erano stati Picasso, Modigliani e tutto quanto e lì era come rivivere quel periodo, che c’erano ancora loro a disegnare sulle strade, in quelle case”. 

“Del quartiere di Montmartre, il quartiere degli artisti, è proprio bello vedere che ci sono ancora dei pittori all’opera”, aggiunge Mattia. Lucy ha un’ottica diversa, è affascinata dagli spazi sconfinati, dalle visuali inedite: “Mi è piaciuto quando siamo saliti sulla scala mobile (quella del Centre Pompidou, ndr) e si vedeva Parigi dall’alto!”

Ma poi dispiega con ricchezza di particolari un ventaglio di altre opere che le sono rimaste negli occhi: “La culla (di Berthe Morisot)… poi I canottieri (di Renoir)…”.  Anche Andrea parte da un altro punto di vista, dalla bellezza delle cose fatte insieme: “Le serate a giocare a casa… quando siamo andati alla Tour Eiffel e ci siamo fatti le foto… abbiamo cucinato insieme”. Gabriele, per dire la sua, elenca le città in cui siamo stati insieme: “Vienna, Roma, Parigi”, per dire che ciò che rimane nel cuore è che “siamo stati tra amici”.

Gianluca Marasco

Lasciarsi e ritrovarsi

“Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia, ma non sa quel che trova”. Oppure seguendo un proverbio leccese “Ci cangia defrisca”, vale a dire chi cambia si rinnova. La saggezza popolare dà interpretazioni molto diverse di quale sia l’effetto di un cambiamento. E allora prendiamo ad esempio un fatto accaduto a Div.ergo per vedere come è stato vissuto e interpretato: di recente Pierluigi si è trasferito dal Laboratorio per approdare alla Casetta, progetto Essenze.

La prima parola è proprio quella del diretto interessato:

Pierluigi, come ti trovi nella nuova esperienza ad Essenze?
“Mi sento bene sono soddisfatto, mi piace l’aria che c’è nel giardino, il lavoro che qui si fa. A Div.ergo dobbiamo stare attenti ai clienti che entrano, qui dobbiamo fare attenzione a noi stessi, prima di tutto. Sia da una parte sia dall’altra dobbiamo sbrigarci per finire i prodotti che bisogna vendere: adesso sto facendo le Salentine. E poi sto lavorando in serra, con le piantine: oggi ho innaffiato. Mi piace qui alla Casetta perché si sta all’aria aperta!”.

Hai chiesto alla Presidente la possibilità di restare il giovedì pomeriggio in Laboratorio…
“Ho scelto di continuare a dare una mano in Laboratorio per non dimenticare né gli amici che mi aiutano né i colleghi”.
Questo ha permesso di mantenere vivo il legame con gli altri artisti, colleghi di vecchia data, e di mitigare il dispiacere. Parlarne consente loro di dipanare quello strano miscuglio di emozioni e di riflessioni che genera il confronto tra un prima e un dopo.

Come avete preso il cambiamento di Pierluigi?
“Mi è dispiaciuto, è una persona affettuosa e quando viene il giovedì ci abbraccia subito” Arianna. Lucy riprende: “Doveva dare una mano ad Essenze… siamo sempre senza Salentine!”. Federica: “Io lo vedo più sereno perché con la cartapesta lui è bravo, è portato. È molto preciso.”

Come lo vedete quando vi ritrovate insieme in laboratorio il giovedì pomeriggio?
Gabriele: “Lo vedo tranquillo, a Div.ergo fa il legno e i fiori. Parla”.
Mattia: “Lo trovo felice, gli è sempre piaciuto stare in mezzo agli altri, dare una mano, far sorridere con le sue battute e lo fa qui e penso anche ad Essenze”.
Aurora, che con Pierluigi ha un rapporto in cui si alternano tenerezza e scontrosità, trova un filo tutto nuovo con lui: “Io il giovedì non lo vedo ma mi prepara il lavoro per il venerdì mattina e questo mi dà una mano in più. È come se lo incontro perché la mattina dopo trovo il lavoro che lui ha fatto per me”.
Andrea: “Lo vedo tranquillo, molto contento del cambiamento. È stato bello che è voluto restare il giovedì”.
A Giulio che con Pierluigi condivide un’affinità elettiva e un’antica simpatia una domanda più specifica.

Stai continuando a mantenere il contatto con lui?
“Io sono contento per lui che sta ad Essenze, perché l’ho conosciuto che faceva cartapesta, ma un po’ mi dispiace non vederlo tutti i giorni. Ora ci sentiamo la mattina e la sera per dirci buongiorno, buonanotte”.

Gianluca Marasco

Tornate domani

artisti 10 anni

(liberamente ispirato alla poesia E domani… di D.M. Turoldo)

Sono andati via, tutti. L’ultimo ha spento le luci, abbassato la serranda, inforcato la bicicletta, e si è immerso tra la gente. Resto io, a vegliare su tavoli, pennelli e scaffali, lambiti dalle luci della strada, che appena si affacciano a sbirciare dalla vetrina. Solo pochi minuti fa, qui dentro era un’allegra giostra di luci e di colori, che brillavano per gli occhi di questi miei amici artisti e dei visitatori, volti noti o passanti curiosi, che hanno voluto superare la mia soglia.

Ma domani vi rivedrò, amici miei. Mi saluterete, come ogni giorno da dieci anni: “Buongiorno Div.ergo!”, e poi vi sparpaglierete, ognuno al suo ritmo, a lasciare le giacche, firmare il foglio delle presenze, pulire, raccogliere il materiale di lavoro. E poi vi vedrò raccogliervi tutti intorno a questi due tavoli, ancora ansiosi di raccontarvi la cena di ieri sera, l’incontro con gli amici, o quello con le vostre “nonnine”. Non posso rispondervi quando mi salutate, ma mi piace guardarvi, e ascoltarvi. Sapete, dieci anni sono un respiro a fronte dei secoli che, modestamente, porto con una certa eleganza (un po’ di polvere dai muri me la dovete pure concedere: sono anziano, io). Non saprei dirvi se quelli che abbiamo vissuto insieme sono i più belli della mia storia. Di certo, sono anni felici.

Devo ammetterlo. Quando siete arrivati mi siete parsi un po’ strani, una combriccola un po’ sgangherata ma allegra. Pian piano vi ho visti crescere, diventare più abili nel padroneggiare le vostre arti. Vi ho visti dipingere, modellare, cucire e assemblare la vostra vita insieme, di pari passo con le vostre opere. Se potessi parlarvi, vi direi: a te, Giulio, direi che sei cambiato molto, da quando sei arrivato. Sei migliorato. E a te, Giuliano, farei i complimenti, per essere ancora qui dopo tanti anni, perché, come dici tu, “di questi tempi perdere il lavoro è più facile che trovarlo”. A te, Lucy, direi ogni giorno, esattamente come il primo giorno, “Benvenuta! Qui puoi stare finalmente in compagnia”. E tu, Laura, continua a impegnarti al massimo. Federica: tu, per favore, smettila di riprendere le palline di resina più del necessario. Lo sai bene che è peggio… E smettila di dire che te ne vuoi andare, sai bene pure che mi mancheresti troppo. A te, Gabriele, ricorderei i primi tempi, quando ha imparato a fare i quaderni, e ti direi “Non distrarti, falli bene!” E naturalmente, direi qualcosa pure a Gianluca: “lascia stare quelle campanelle, che ogni volta che le prendi ne rompi una…”

Ma lo sapete bene, sono di pietra e non mi è stata data la parola. Ci pensano i miei muri a parlare. Possono ben sopportare le ferite dei mille chiodini, gli strappi del nastro adesivo, ogni volta che appendete un orologio, una fotografia, una poesia. Perché ogni volta, a quei chiodini e a quel nastro adesivo, è appeso un pezzo di storia che anche io posso raccontare a questa città e ai suoi visitatori. Sì, quello che custodisco dentro di me è un mistero svelato, una buona notizia per tutti.

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