Interviste

La testa di chiodo - Interviste su una poesia di Gianni Rodari

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Chi è capace di rendere un banale oggetto di uso quotidiano un’occasione su cui soffermarsi e ragionare? Roba da artisti, come René Magritte e le sue mele, Duchamp e la ruota di bicicletta, i barattoli di zuppa Campbell’s di Warhol.

Per la nostra rubrica Quattro passi nell’animo, il nostro momento di riflessione tra una pennellata e l’altra, abbiamo scovato un poeta capace di farci concentrare lo sguardo su un semplice chiodo. Chiodo piccolo o grande, in ferro o acciaio, fate voi! Ci interessa quella testa resistente e dura che ha e che – per dirla con Rodari – “non ci ragiona”, così come “capita a più di una persona”.

Una metafora appropriata per Valentina T. “utile per parlare di quello che abbiamo dentro e magari togliere qualche idea fissa”. Indigesta per altri, come Aurora e Pierluigi, che fanno ancora i conti con la loro resistenza a smussare e ammorbidire alcuni tratti del proprio carattere e che per questo, nella consueta intervista, si sono barricati dietro un no comment.

Messo alla prova, ciascuno è stato capace di tirare fuori le situazioni in cui s’incaponisce e non usa il cervello: Giulio “quando chiedo ai genitori se accettare o meno un invito e non dico cos’è che desidero fare io”; Gabriele e Francesca quando non collegano testa (orecchie comprese) e lingua e ripetono cose già dette.

Stavolta, però, i nostri artisti si sono superati nell’individuare con acume le situazioni in cui protagonisti sono i loro genitori e qualche amico: “Mi è piaciuto conoscere meglio come fanno i miei genitori e quelli degli altri – dice Alessandra – quando hanno la testa di un chiodo, quando danno a noi la colpa di una multa oppure sono loro che non accettano i nostri consigli e poi sbagliano, pensando che sono gli unici a darli”.

Per Valentina M. è un chiodo fisso la canzone che abbiamo musicato sulle parole di Rodari, per cui basta darle l’attacco per sentirla intonare i primi versi “La palma della mano, i datteri non fa…”

Giulio è rimasto incantato dall’aspetto poetico, tanto da dire che quello che più lo ha preso è “il gioco dei doppi sensi che lui fa e quelli che abbiamo costruito noi, giocando con le parole”; Giuliano dalla possibilità di accorgersi “che Nicola si incaponisce quando le cose non vanno per come le ha programmate. Una cosa che di lui, per come è fatto, non sembrerebbe possibile”.

Quanto ci ha fatto discutere la testa di un piccolo chiodo, anche se non ci ragiona! La nostra, almeno questa volta, l’abbiamo usata tanto e bene.

(Gianluca Marasco)

Vincent, un artista tra artisti

autoritratto van gogh 1887

Sette lettere appese, contornate di girasoli in resina. Poi un piatto nero esposto in vetrina con gli Iris. Questa è la traccia visibile del passaggio di Vincent Van Gogh nelle stanze del Laboratorio e dell’Officina.  Ma ciò che ha lasciato la storia del pittore olandese tra i nostri tavoli è molto più pregnante e intimo, se recuperato dalle parole e nella memoria dei nostri artisti che per due mesi lo hanno studiato e conosciuto.

Come in vita, Vincent suscita un mix di sentimenti contrastanti: lo stupore per ciò che ha vissuto e realizzato, da un lato. Ognuno dei nostri artisti cita e spiega uno dei quadri di Vincent e ne ricorda dettagli e caratteristiche: “I mangiatori di patate, aveva quei colori scuri”, dice Federica; “Il ramo di mandorlo…” dice Alessandra M.; “…dipinto quando è nato il nipotino!”, aggiunge Valentina. “Amava fare i ritratti e i panorami”, spiega Lucy. “I Girasoli… il giallo!”, aggiunge Valentina M.

Anche la sua vita emerge per flash nitidi: “È stato con i lavoratori in miniera” (Federica), “parlava loro di Gesù, li voleva sollevare dalla tristezza” (Arianna), “Aveva la meraviglia di guardare l’universo e la natura” (Laura), “ha dovuto cambiare molti lavori, la sua vita non è stata semplice” (Valentina T.).

Ma c’è anche la difficoltà a collocarlo precisamente. C’è qualcosa di ineffabile nella passione che anima gli artisti di Div.ergo nei confronti di Vincent Van Gogh. Per esempio, sono discordi nel dire se un laboratorio come il nostro sarebbe di suo gradimento: “No, è una persona scorbutica, scontrosa”, afferma Laura; “Gli piacerebbe, ma lui amava lavorare all’aria aperta, in campagna”, riflette Valentina. Altri sono più possibilisti o vedono la cosa da un punto di vista più pratico: secondo Giulio “Ci avrebbe dato una mano per dipingere, insegnandoci le sue tecniche” e Giuliano lo immagina bene al tavolo dei ceramisti (“Lui è molto bravo a dipingere, si sarebbe trovato bene a collaborare con noi”).

Ciò su cui nessuno ha dubbi, però, e su cui ad un certo punto si focalizza l’attenzione di tutti è la bellezza del rapporto con il fratello. “Fratello Theo!”, è la risposta di Gabriele alla domanda su cosa gli fosse piaciuto di più della storia di Vincent. “Andava d’accordo con il fratello!”, dice Lucy. “Si scrivevano tante lettere! – aggiunge Federica – e si aiutavano”. E Andrea ricorda il numero delle missive che i due si sono scambiati, e poi Alessandra parla dei quadri che Theo vendeva per conto di Vincent, perché sapeva che era bravo. Quello che resta più vivo è la forza di costruire a lungo un legame così profondo, ciò che ciascuno di noi ammira e desidera.

Gianluca Marasco

Gelato al gusto di ... Malaga

gernica

A Div.ergo, quando qualcuno degli artisti ha una predilezione, diciamo che “fa le preferenze!”

E con Picasso è stato subito amore a prima vista!

Ognuno, prima ancora che ne fosse svelato il nome, lo aveva scoperto, facendo ricerche in rete, chiedendo ad amici e parenti, perché aveva colto la sensibilità e il genio di questo nuovo Amico artista. 

Allora sentiamo da loro, come mai questa “preferenza”.

Giuliano - Di Picasso mi ha colpito molto il quadro che abbiamo studiato (Guernica, n.d.r.), ci sono molte immagini sovrapposte. Immagini tristi, ma mi colpisce la tecnica, con cui è stato realizzato. È come se fosse tutto in sospensione. È un quadro che rappresenta la guerra ma mi dà un’idea di vivacità, di movimento. E questo mi affascina. In particolare gli animali e la porta sovrapposta ad una persona, come se quella donna fosse infilata dentro.

Di lui mi colpisce il suo interesse per la pittura fin da piccolo, il fatto che abbia vissuto e visitato posti diversi; trovo molti elementi in comune con Gaudì, l’autore che abbiamo studiato in precedenza.

Serena - Ricordo bene la crudeltà rappresentata nel quadro, Guernica, la guerra che colpisce una città bombardata dagli aerei. C’è la crudeltà, il terrore, l’umore della gente: morirono donne, bambini, anziani.

Non mi piace molto questo quadro, per quello che racconta: la crudeltà la vediamo già ogni giorno al telegiornale, la violenza sulle donne e sui bambini.

Lui era arrabbiato per la guerra, a me invece fa dispiacere quando si fa violenza sui bambini che vengono abbandonati nei cassonetti come se fossero animali.

Guernica è un quadro molto grande, con modi originali di disegnare le persone: volti con due nasi, di profilo e di fronte contemporaneamente. Picasso voleva far vedere le persone da tutti i lati, da tutti i punti di vista! Poi dipinge tutto in bianco e nero per metter in risalto i sentimenti di chi soffre per la guerra. Per questo io preferisco le Signorine di Avignone: è una scena ricca di vita, di colore, con le signore che fanno il bagno!

Fabrizio - Ci ha scritto delle lettere, delle pergamene! Lui è di Malaga. Abbiamo assaggiato il gusto di gelato malaga, con l’uvetta e il rhum. Picasso era un pittore spagnolo. Per questo abbiamo imparato lo spagnolo, alcune parole: lapiz per dire matita, vela per dire candela.

In un quadro che abbiamo studiato (Le Demoiselles d’Avignon, n.d.r.) abbiamo visto che usa le maschere. In Africa gli uomini le mettono e si trasformano, gridano, “fanno gli ultrasuoni”, alzano la voce: così si sentono liberi e senza paure!

Io, invece che con le maschere, mi sento forte pensando alla mia nipotina Anna!

Mi ha colpito quando, studiando Guernica, abbiamo ascoltato i rumori di una città bombardata, i rumori di guerra, morte. E il soldato che nel dipinto sta a terra mi fa pensare ad un cadavere, sembra già uno scheletro!

Valentina - Questo autore ha un modo particolare di dipingere, esprime quello che prova, l’indignazione, la sua rabbia perché nel suo Paese c’è la guerra. Guernica rappresenta persone uccise e ferite. C’è una donna chiusa nella casa che va in fiamme e lei urla; persone mutilate; il soldato è a terra morto, con la spada spezzata. C’è il cavallo e c’è il toro, figure sempre “spezzate”, imbizzarrite. Manca il colore, mi sono chiesta perché Picasso ha fatto così. Appena l’abbiamo scartato non l’ho capito, non mi è piaciuto, poi pian piano l’ho compreso meglio. È stato bravo ad esprimere le sue paure, le preoccupazioni per quella città: come se lui stesso fosse rimasto ferito! A me feriscono le persone che dicono una cosa e ne fanno un’altra. Anche così si resta delusi, feriti. Io preferisco non promettere se non riesco a mantenere.

È bello che abbia usato le maschere, ogni maschera si usa per un evento particolare: una per la nascita, una per la morte. Anche Picasso ha usato quelle maschere, forse, perché non riusciva ad esprimere quello che aveva dentro. Così invece lo ha fatto.

Mariella (testo scritto di suo pugno) - Oggi ci hanno raccontato di un quadro che ha fatto questo artista che si chiama Fabio (sic) Picasso, che ha disegnato un sacco di persone spaventate perché c’era la guerra. C’erano gli animali, le persone con i bambini e i genitori che scappavano perché buttavano le bombe. Poi c’era una casa che ha preso fuoco e una donna che si stava buttando dalla finestra perché stava spaventata e anche un cavallo che stava gridando, e c’era un uccello che stava spaventato.

Questo artista quando disegnava teneva un sacco di colori sulla tavola e diceva: “questi colori sono i colori dell’allegria”. I colori non fanno pensare alla guerra che facevano con gli aerei e facevano morire le persone e l’uccellino. Allora ha buttato gli altri colori perché non voleva che facevano la guerra. Quel paese era la Spagna e poi c’era la sua città che si chiamava Malaga.

Gianluca Marasco

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